La poesia "Bella è la notte" di G. Monterosso (trovate il
testo in fondo all'articolo), musicata da Francesco Paolo Frontini reca sulla
dedica alla signora Giselda Rapisarda.
Per capire più
profondamente il testo è meglio concentrarsi sulla dedicataria più che sullo
scrivente. Infatti la letteratura italiana fin dal suo esordio è connotata da
questo sfragis-sigillo, ossia la
tensione erotica tra poeta e musa ispiratrice, basti pensare a Dante e
Beatrice.
Ecco in breve la storia di Giselda, donna sensibile alle
parole poetiche, fu giornalista e scrittrice anch'essa, così da legare i suoi affetti ai versificatori anche non
fisicamente prestanti.
Giselda Fojanesi, poi sposa del poeta Mario
Rapisardi, fiorentina d'elezione, nei primi di settembre del 1869 viaggiò con
la madre Teresa e con Giovanni Verga da Firenze a Catania, per prestare
servìzio come maestra nell'Educandato e Convitto provinciale «Margherita», di
cui era presidente il professore Salvatore Marchese. Giselda era stata raccomandata da Maria Dall'Ongaro,
sorella del letterato Francesco, a Mario Rapisardi perché trovasse il modo più
opportuno per il parere favorevole alla nomina di maestra da parte del presidente dello stabilimento
provinciale. [Come vedete le raccomandazione sono sempre esistite!] La
prima impressione di Giselda sul futuro marito fu senz'altro sgradevole «lì
Rapisardi era inagrissimo, macilento, con
l'aria sofferente e piuttosto ridìcolo», nonostante le molte parole spese dal Verga in suo favore. Ma
incredibilmente la passione sbocciò grazie alla poesia.
Così scrisse Mario a Giselda: «Lascerei questa
luce e questa sfera / Sol per venirti accanto; // E, il mio fato obliando e i raggi miei, / Del tuo mondo sfidar gli
affanni e l'ire; / Solo un giorno per te viver vorrei, /Dir: t'amo, e poi
morire».
Alcuni mesi più tardi così scrive Giselda alla madre: «La sventura
non potrà più d'ora innanzi colpirmi, poiché
il solo pensiero d'essere amata da quest'uomo angelico, superiore di tanto a
tutti gli altri uomini, basta a rendermi pienamente felice, e a darmi
forza per sfidare l'avversità della sorte». E aggiungeva ancora: «Pensa
a me, Mamma mia, che soffro tanto, che mi annoio dal desiderio di vederlo, di
parlargli, di ricevere un suo scritto, e
non lo posso! Ah! sono proprio sventurata, io lo adoro, so d'essere
corrisposta, e non posso vederlo ,non posso scrivergli!>>
i due convolarono
a nozze a Messina lunedì 12 febbraio 1872 ma l'idillio durò poco... al
ritomo a Catania lo attendeva un pranzo di nozze «...triste, mal servito
sulla tavola apparecchiata senza cura, nella stanza di passaggio,...» e iconvitati
«...uomini seduti attorno alla tavola con il copricapo: due con il cappello,
uno con il fez e Mario con il berrettone di lana...» la delusione della vita coniugale, unita alle
limitazioni di spostamenti imposte dal geloso marito a Giselda furono causa di
un sùbito raffreddamento della passione. Così nel 1875 quando Mario, docente di
letteratura all'università e Giselda si
recarono a Firenze per le vacanze, il destino fece incontrare Mario
Rapisardi ed Eva Cattèrmole, la poetessa e fece riaccendere l'amore sopito tra
Giselda e G. Verga.II Rapisardi inviò il volume Ricordanze ad Eva Cattèrmole (che
scriveva con lo pseudonimo di Contessa Lara). La risposta della bionda poetessa colpì Mario, che dall'ammirazione passò
all'infatuazione, subito ricambiata dall'interlocutrice, cosicché nacque una relazione di lunga durata.Chiudiamo qui con una considerazione che suona come una domanda: ma le
donne di quell'epoca erano più sensibile alle parole?
Erano tutte come Rossana del Cirano? Signore
che leggerete il testo, nel vostro cuore avrete la risposta...sarete poi così
gentili da condividerla con noi "maschietti" ?
Silvano Muratore
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