sabato 3 giugno 2017

L'ITALIA LETTERARIA TRA VERISMO E DECADENTISMO



La poesia "Bella è la notte" di G. Monterosso (trovate il testo in fondo all'articolo), musicata da Francesco Paolo Frontini reca sulla dedica alla signora Giselda Rapisarda.
Per capire più profondamente il testo è meglio concentrarsi sulla dedicataria più che sullo scrivente. Infatti la letteratura italiana fin dal suo esordio è connotata da questo  sfragis-sigillo, ossia la tensione erotica tra poeta e musa ispiratrice, basti pensare a Dante e Beatrice.
Ecco in breve la storia di Giselda, donna sensibile alle parole poetiche, fu giornalista e scrittrice anch'essa, così da legare i suoi affetti ai versificatori anche non fisicamente prestanti.
Giselda Fojanesi, poi sposa del poeta Mario Rapisardi, fiorentina d'elezione, nei primi di settembre del 1869 viaggiò con la madre Teresa e con Giovanni Verga da Firenze a Catania, per prestare servìzio come maestra nell'Educandato e Convitto provinciale «Margherita», di cui era presidente il professore Salvatore Marchese. Giselda era stata raccomandata da Maria Dall'Ongaro, sorella del letterato Francesco, a Mario Rapisardi perché trovasse il modo più opportuno per il parere favorevole alla nomina di maestra da parte del presidente dello stabilimento provinciale. [Come vedete le raccomandazione sono sempre esistite!] La prima impressione di Giselda sul futuro marito fu senz'altro sgradevole «lì Rapisardi era inagrissimo, macilento, con l'aria sofferente e piuttosto ridìcolo», nonostante le molte parole spese dal Verga in suo favore. Ma incredibilmente la passione sbocciò grazie alla poesia.
Così scrisse Mario a Giselda: «Lascerei questa luce e questa sfera / Sol per venirti accanto; // E, il mio fato obliando e i raggi miei, / Del tuo mondo sfidar gli affanni e l'ire; / Solo un giorno per te viver vorrei, /Dir: t'amo, e poi morire».
Alcuni mesi più tardi così scrive Giselda alla madre: «La sventura non potrà più d'ora innanzi colpirmi, poiché il solo pensiero d'essere amata da quest'uomo angelico, superiore di tanto a tutti gli altri uomini, basta a rendermi pienamente felice, e a darmi forza per sfidare l'avversità della sorte». E aggiungeva ancora: «Pensa a me, Mamma mia, che soffro tanto, che mi annoio dal desiderio di vederlo, di parlargli, di ricevere un suo scritto, e non lo posso! Ah! sono proprio sventurata, io lo adoro, so d'essere corrisposta, e non posso vederlo ,non posso scrivergli!>>



 i due convolarono a nozze a Messina lunedì 12 febbraio 1872 ma l'idillio durò poco... al ritomo a Catania lo attendeva un pranzo di nozze «...triste, mal servito sulla tavola apparecchiata senza cura, nella stanza di passaggio,...» e iconvitati «...uomini seduti attorno alla tavola con il copricapo: due con il cappello, uno con il fez e Mario con il berrettone di lana...» la delusione della vita coniugale, unita alle limitazioni di spostamenti imposte dal geloso marito a Giselda furono causa di un sùbito raffreddamento della passione. Così nel 1875 quando Mario, docente di letteratura all'università e Giselda si recarono a Firenze per le vacanze, il destino fece incontrare Mario Rapisardi ed Eva Cattèrmole, la poetessa e fece riaccendere l'amore sopito tra Giselda e G. Verga.II Rapisardi inviò il volume Ricordanze ad Eva Cattèrmole (che scriveva con lo pseudonimo di Contessa Lara). La risposta della bionda poetessa colpì Mario, che dall'ammirazione passò all'infatuazione, subito ricambiata dall'interlocutrice, cosicché nacque una relazione di lunga durata.Chiudiamo qui con una considerazione che suona come una domanda: ma le donne di quell'epoca erano più sensibile alle parole? Erano tutte come Rossana del Cirano? Signore che leggerete il testo, nel vostro cuore avrete la risposta...sarete poi così gentili da condividerla con noi "maschietti" ?  
Silvano Muratore

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