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2 novembre 2018
I segni storici di antropologia culturale disseminati in angoli più o meno riposti della città consentono di aprire percorsi di indagine sovente impensabili (la cosiddetta serendipità, che implica la scoperta di tracce o intuizioni fatte per puro caso). Le stesse tracce dei superstiti monumenti funerari nelle strade del centro antico del Vasto – a volte visibilissimi, ma su cui non viene posta la necessaria attenzione – costituiscono, nel giorno della Commemorazione dei defunti, un momento di approfondimento conoscitivo sulla storia cittadina. Va detto, inoltre, che non sarà possibile discutere sulle testimonianze funerarie conservate nel Gabinetto Archeologico Comunale in quanto le sale espositive ad hoc sono chiuse per verifica strutturale della parte est del Palazzo. Da questo punto di vista, ci si limiterà a un breve commento delle due sculture sepolcrali di primo XV secolo custodite all’ingresso del Museo.
La visita, guidata dal prof. Luigi Murolo, si concluderà con una conversazione dello stesso docente sul rapporto inscindibile tra giorno dei morti (2 novembre) – Epifania (6 gennaio) e il presepe popolare napoletano, storicamente diffuso negli ambienti familiari del Mezzogiorno d’Italia.
Diversamente dal presepe di Festa (elaborato nella corte borbonica), quello popolare restituisce, sul versante antropologico, una grande allegoria sul transito delle anime (ciamarèllǝ, in dialetto) dal camposanto al mondo dei vivi e del conseguente ritorno delle stesse nel luogo di quiete.
L’inizio della conversazione è previsto per le ore 18,00 nella chiesa di S. Filomena.
«IN PARTIBUS DALMATIAE». SCAMBI COMMERCIALI TRA COSTA VASTESE E COSTA DALMATA TRA I SECC. XVI E XVII.
di Luigi Murolo
Propongo in questa sede la sintesi della presentazione dell’omonima mostra documentaria da me allestita nel centro insediativo schiavone di Montemitro (11 agosto 2018) alla presenza della dr.ssa Branka Bezić Filipović rappresentante della Hrvatska Matica Iseljenika di Spalato.
D’agosto, nel 1504. Dopo appena otto mesi dalla battaglia del Garigliano – scontro che determina la sconfitta definitiva dei francesi in tutto l’ex-regno di Napoli –, Gonzalo Fernández de Córdoba y Aguilar risulta già insediato come Viceré spagnolo della nuova entità geopolitica mediterranea dipendente da Madrid. A partire dalla pace difficoltosamente raggiunta dopo quattro anni di sanguinosissima guerra, el Gran Capitàn riceve nell’antica Capitale aragonese un diplomatico della piccola Repubblica di Ragusa, latore di un messaggio del Consiglio dei Pregadi che testualmente recita:
Sa molto bene la Ill.ma Signoria Vostra como noi siamo vicini a quesso Regno, tra el qual et la città nostra non media alguna cosa salvo questo brazo de mare Adriatico, ita che de necessita l’è continua pratica tra li regnicoli et li mercadanti nostri, per modo che hic inde alcuna parte e l’altra ne seguita et resulta molte et grande commodità.
L’indicazione di Regno, e non di Viceregno, è certamente significativa del modo in cui la res publica di San Biagio intende regolarizzare i rapporti tra le due sponde. O Monarca o Governatore poco importa: ciò che conta è riconoscere alla nuova realtà politico-territoriale la conservazione formale della precedente sovranità. In buona sostanza, i ragusei si mostrano tessitori di relazioni diplomatiche accorte. Le stesse – va detto – che avrebbero consentito loro di rimanere indipendenti dall’impero ottomano, malgrado la pesante sconfitta degli ungaro-croati in quella battaglia di Mohács (1526) che avrebbe deciso la conquista (balcanizzazione) di quasi tutta la Slavonia da parte dell’esercito di Solimano il Magnifico (rimarrà escluso il solo regno di Croazia da allora integrato nell’impero asburgico fino al 1918). Una cosa è certa. Nel periodo compreso tra il 1504 e il 1526, i Pregadi costituiscono delle rappresentanze (consolati) nei centri maggiori dell’Abruzzo Citeriore mediante la pratica di proxenìa (vale a dire, delegare un abitante del luogo quale agente unico a tutela, in città, degli interessi di negozi e commerci dei viaggiatori di quegli stati per cui svolge tale funzione). Il consolato raguseo di Vasto viene istituito il 14 luglio 1523 con la designazione del primo pròsseno (o console) nella persona di Cola Monaco, personaggio fino a oggi sfuggito alle varie storie della città.
In una prospettiva di tal genere, tanto i ragusei quanto i dalmati (spalatini, zaratini ecc.) si trovano a costituire i soggetti attivi delle transizioni economiche est/ovest nel «brazo di mare» interadriatico. I profughi della grande area balcanizzata della Slavonia (vale a dire, quella assoggettata dagli ottomani) si presentano, al contrario, come immigrati – dunque, passivi nei confronti degli attori di industrie e commerci –. A differenza dei primi – cui Alfonso il Magnanimo, il 15 giugno 1445, concede il libero commercio in tutto il Regno e la lbera e franca dimora nei centri della costa abruzzese –, i secondi – indirizzati a lavori bracciantili – sono destinati o al ripopolamento di paesi in fase di abbandono (Montemitro, S. Felice, Mafalda, S.Pietro Linari [Vasto] ecc.) o a insediamenti neofondativi in funzione agricola (Cupello, Villalfonsina ecc.). Traccia iconografica di tale migrazione è visibile in un particolare del dipinto su tavola (1510) del pittore abruzzese Serafino Gatti oggi al Metropolitan Museum of Art di New York. Sicché, rispetto alle fonti storiche disponibili, torna utile sottolineare come alla scarsa documentazione sugli schiavoni in generale (cui comunque è accordato il diritto d’asilo) venga a corrispondere una più articolata informazione su dalmati e ragusei.
Va da sé che, da tale punto vista, la storia materiale delle città in età medievale e moderna diventa conoscibile attraverso gli atti notarili (rimangono fondamentali per l’Abruzzo le insuperate ricerche di Corrado Marciani). I protocolli – che ne costituiscono le copie d’ufficio – testimoniano la vita quotidiana degli uomini negli aspetti più diversificati. Doti, testamenti, vendite, acquisti, prestiti, riscatti, contratti, industrie conserviere e alimentari, produzioni e trasformazioni agricole, commerci, salari, noli e trasporti marittimi, costruzioni di edifici pubblici e privati, accomodi, restauri, lapicidi, scalpellini, marramieri, bottai, ebanisti, conciatori, ceramisti, vetrai, tavernari, vinattieri ecc. possono passare sotto gli occhi interessati degli studiosi mentre compulsano tutta quella sterminata mole di manoscritti disposti lungo le centinaia di metri lineari delle scaffalature d’archivio.
Dal sec. XVI in poi, i paesi dell’Abruzzo meridionale hanno la possibilità di raccontare infinite storie di individui e di comunità. Ad esempio, le stesse relazioni storiche tra le due sponde adriatiche, tra Vasto e i suoi caricatoi (scali marittimi di esclusivo carico e scarico merci) con le città croate costituiscono un capitolo tutto da indagare. Ecco allora che, in un paese di origine schiavone come Montemitro, diventa utile proporre in riproduzione una selezione di documenti di due notai locali del Cinquecento – Gio. Battista Robio e Berto de Bertolinis – da cui è possibile ricavare almeno una vaga idea sulla complessa mole di scambi che, in quell’età, ha riguardato le attività dei vastesi in partibus Dalmatiae (“nelle terre della Dalmazia”). Gli atti dei due notai vanno dal 25 settembre 1550 all’11 luglio 1555 per il primo (cinque documenti tutti anteriori alla distruzione ottomana di Vasto del 1566); per il secondo, al contrario, dal 16 settembre 1593 al 25 febbraio 1599 (undici documenti nella fase della città in fattiva ricostruzione, soprattutto dopo la vittoria della Lega Santa nella battaglia di Lepanto del 1571). Nella mostra che qui si presenta, l’unico documento fuori periodo di un ventennio è quello redatto da notar Alessandro Fantini il 28 ottobre 1621. Lo si riporta per l’interesse che riveste nello spiegare la gestione degli approdi marittimi (nel caso specifico, il caricatoio della Meta. Gli altri due risultano essere Casarza e Spiaggia) a partire dal rapporto contrattuale tra l’amministrazione dell’universitas (nella persona del mastrogiurato pro-tempore) e il mastro di scalo.
Grippi, marciliane, brigantini, feluche, marani, sciabecchi ecc. transitavano regolarmente nelle tre prode vastesi. Merci in particolare – e anche persone – attraversavano senza problemi le oltre 110 miglia marine del «brazo di mare» (una distanza più rapidamente percorribile rispetto a quella terrestre tra Vasto e Napoli). Tra arrivi e partenze un gran numero di vastasi (portatori di pesi) lavorava con lena per imbarcare e sbarcare uomini e cose. Di quegli scambi transfrontalieri Abruzzo meridionale/Croazia rimangono oggi solo memorie di carta. Nessun traghetto percorre più quelle antiche e consolidate rotte. Nessun viaggiatore più dall’Abruzzo – se non soci di circoli nautici – può dirigersi verso l’altra sponda. Cinque anni fa (2013) avevo proposto la ripresa l’eredità culturale delle antiche transizioni adriatiche attraverso il gemellaggio tra il Liceo Scientifico di Vasto e il Primo Liceo di Spalato. Attività iniziata nel migliore dei modi, poi interrotta. Le ragioni? Valle a capire!
La macroregione adriatica istituita dal 2014 dovrebbe costruire relazioni culturali e istituzionali tra le città dell’antico golfo di Venezia. Difficile capire in quale date le vele potranno essere considerate sciolte e avviare questa navigazione nella cultura interadriatica.
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