martedì 6 giugno 2017

Ezra Pound e Cristina Rossetti



ECHI DAL PASSATO  
Antiche lettere ritrovate...

...I Vastesi sono gente piuttosto strana; quando ero lì nel 1928, ospite da un parente di nome Gelsomino Zaccagnini-un magnate locale- mi portò a visitare il Podestà e mentre eravamo lì due giornalisti del Nord Italia erano a lamentarsi al Podestà: mentre facevano un giro per il loro giornale  si fermarono a Vasto, e alla locanda dove erano andati per un pasto si erano rifiutati di servirli poiché erano forestieri! Un altro nostro parente, un uomo piuttosto bravo [Manzi?] che ha sperato di sviluppare la bellissima spiaggia appena sotto la città che è parte del comune di Vasto, ha costruito alcune case lungo la riva per i visitatori estivi, ma non ha avuto  successo in quanto i pescatori locali si sono rifiutati di vendergli alcunchè per lo stesso motivo "forestieri"!

Lettera della figlia di Rossetti a Ezra Pound.
 trad. Remo Petrocelli

Appuntamenti di giugno 2017



-   10 giugno   " Favole e Filastrocche  "

13  giugno    Presentazione dei Libro di Antonio Tarantino " Dietro le Maschere "

17 giugno        Ing. Antonio Santoro:

       seconda parte di "Scritti su Vasto di Andrew  Slade"

- 24 giugno   Patrizia Guerrini   " I CHING "
GLI APPUNTAMENTI POSSONO ESSERE SOGGETTI
A VARIAZIONI, PER RIMANERE SEMPRE
AGGIORNATI CONTROLLATE LE DATE SUL
NOSTRO GRUPPO FB : " "VOCIDALLATORRE"

sabato 3 giugno 2017

L'ITALIA LETTERARIA TRA VERISMO E DECADENTISMO



La poesia "Bella è la notte" di G. Monterosso (trovate il testo in fondo all'articolo), musicata da Francesco Paolo Frontini reca sulla dedica alla signora Giselda Rapisarda.
Per capire più profondamente il testo è meglio concentrarsi sulla dedicataria più che sullo scrivente. Infatti la letteratura italiana fin dal suo esordio è connotata da questo  sfragis-sigillo, ossia la tensione erotica tra poeta e musa ispiratrice, basti pensare a Dante e Beatrice.
Ecco in breve la storia di Giselda, donna sensibile alle parole poetiche, fu giornalista e scrittrice anch'essa, così da legare i suoi affetti ai versificatori anche non fisicamente prestanti.
Giselda Fojanesi, poi sposa del poeta Mario Rapisardi, fiorentina d'elezione, nei primi di settembre del 1869 viaggiò con la madre Teresa e con Giovanni Verga da Firenze a Catania, per prestare servìzio come maestra nell'Educandato e Convitto provinciale «Margherita», di cui era presidente il professore Salvatore Marchese. Giselda era stata raccomandata da Maria Dall'Ongaro, sorella del letterato Francesco, a Mario Rapisardi perché trovasse il modo più opportuno per il parere favorevole alla nomina di maestra da parte del presidente dello stabilimento provinciale. [Come vedete le raccomandazione sono sempre esistite!] La prima impressione di Giselda sul futuro marito fu senz'altro sgradevole «lì Rapisardi era inagrissimo, macilento, con l'aria sofferente e piuttosto ridìcolo», nonostante le molte parole spese dal Verga in suo favore. Ma incredibilmente la passione sbocciò grazie alla poesia.
Così scrisse Mario a Giselda: «Lascerei questa luce e questa sfera / Sol per venirti accanto; // E, il mio fato obliando e i raggi miei, / Del tuo mondo sfidar gli affanni e l'ire; / Solo un giorno per te viver vorrei, /Dir: t'amo, e poi morire».
Alcuni mesi più tardi così scrive Giselda alla madre: «La sventura non potrà più d'ora innanzi colpirmi, poiché il solo pensiero d'essere amata da quest'uomo angelico, superiore di tanto a tutti gli altri uomini, basta a rendermi pienamente felice, e a darmi forza per sfidare l'avversità della sorte». E aggiungeva ancora: «Pensa a me, Mamma mia, che soffro tanto, che mi annoio dal desiderio di vederlo, di parlargli, di ricevere un suo scritto, e non lo posso! Ah! sono proprio sventurata, io lo adoro, so d'essere corrisposta, e non posso vederlo ,non posso scrivergli!>>



 i due convolarono a nozze a Messina lunedì 12 febbraio 1872 ma l'idillio durò poco... al ritomo a Catania lo attendeva un pranzo di nozze «...triste, mal servito sulla tavola apparecchiata senza cura, nella stanza di passaggio,...» e iconvitati «...uomini seduti attorno alla tavola con il copricapo: due con il cappello, uno con il fez e Mario con il berrettone di lana...» la delusione della vita coniugale, unita alle limitazioni di spostamenti imposte dal geloso marito a Giselda furono causa di un sùbito raffreddamento della passione. Così nel 1875 quando Mario, docente di letteratura all'università e Giselda si recarono a Firenze per le vacanze, il destino fece incontrare Mario Rapisardi ed Eva Cattèrmole, la poetessa e fece riaccendere l'amore sopito tra Giselda e G. Verga.II Rapisardi inviò il volume Ricordanze ad Eva Cattèrmole (che scriveva con lo pseudonimo di Contessa Lara). La risposta della bionda poetessa colpì Mario, che dall'ammirazione passò all'infatuazione, subito ricambiata dall'interlocutrice, cosicché nacque una relazione di lunga durata.Chiudiamo qui con una considerazione che suona come una domanda: ma le donne di quell'epoca erano più sensibile alle parole? Erano tutte come Rossana del Cirano? Signore che leggerete il testo, nel vostro cuore avrete la risposta...sarete poi così gentili da condividerla con noi "maschietti" ?  
Silvano Muratore

venerdì 2 giugno 2017

Teatro e musica partenopea alla Torre Diomede del Moro



Lo spettacolo ho fatto registrare il tutto esaurito
Ritrovare Napoli alla "Torre Diomede" di Vasto, in questo penultimo sabato di maggio, dopo averla appena lasciata, è stata per me una rivelazione. E non solo per la musica e il teatro di autori eccellenti come Salvatore Di Giacomo, Eduardo De Filippo, Eduardo Di Capua, Totò, e altri ancóra, portati alla ribalta dalla stupenda interpretazione di Anna Maione e Antonio Cardone, entrambi attori e cantanti napoletani, egregiamente accompagnati dalla chitarra del vastese Nunzio De Palma.

E'   stata  soprattutto  una   mia   particolare   disposizione dell'animo a farmi toccare con mano il potere catartico della musica e della poesia soprattutto quando incontra il favore del pubblico. Si sa che la canzone e il teatro partenopeo non accendono solo i cuori dei Napoletani, anche i Vastesi li amano e  li  comprendono  bene,  ma  in  quest'ultimo  spettacolo aleggiava nell'aria una carica emotiva molto più intensa del solito, c'era quasi la dimostrazione di una rinnovata sintonia che solo il contatto diretto in un luogo intimo e suggestivo come l'antica torre può darci. Conosco dalla nascita molti dei versi citati, fanno parte del mio Dna, trasmessomi da mia madre, che ne sfoderava uno per ogni occasione, anche per ammonirci o adularci;
li ho anche assorbiti durante tutta la mia infanzia dai suoni  e dagli odori del folklore di cui è imbevuta la mia città natale. Eppure, sabato, li ho ascoltati con lo stupore del neofita, proiettandoli in una dimensione che solo la vera arte può dare, perché immortale. L'ho capito soprattutto quando Anna ha recitato, con gli occhi lucidi, il monologo del grande Eduardo, "Filumena Marturano", dando il meglio di sé in un'interpretazione densa di significato dove aleggia tutta la filosofia di un popolo che da sempre riesce a trovare, attraverso l'arte e l'immaginazione, la forza per rialzarsi nei momenti più duri dell'esistenza.

                                                                           Concetta Russo

giovedì 1 giugno 2017

S.Buono. Il convento di S.Antonio a S.Buono

TESORI DELL'ALTO VASTESE
 Il convento di San'Antonio a San Buono. L'ordine francescano, dopo i primi due secoli di espansione, non aveva esaurito "il proprio slancio vitale" e le crisi o i fermenti all'interno dell'Ordine tra la fine del XIV e gli inizi del XVI secolo, sono manifestazioni di vitalità di questo movimento, che portò alla nascita di una nuova famiglia francescana degli Osservanti. Questa nuova famiglia si distingueva dalla prima per le modalità insediative e per le forme architettoniche dei nuovi edifici. Nel Vastese si ha la presenza degli Osservanti sin dalle origini con i conventi di: Sant'Onofrio di Monteodorisio in località Cantalupo (1420); Sant'Onofrio di Vasto (1440); San Bernardino da Siena sempre a Monteodorisio (1460), a seguito dell'abbandono di quello precedente perché ritenuto non adatto il  luogo;

 Sant'Antonio da Padova di San Buono (1500 o 1575); Santa Maria del Monte Carmelo di Palmoli (1583) e San Donato di Celenza sul Trigno (1598). I conventi di Monteodorisio e Vasto erano collocati fuori le mura della città e in questo caso abbastanza distanti, come dai programmi insediativi della nuova famiglia (l'unica eccezione in Abruzzo su oltre quaranta conventi è il San Bernardino de L'Aquila). Al di là delle motivazioni spirituali, evangeliche, culturali ed economiche di questa scelta, a cui si rimanda in bibliografia per gli approfondimenti, si deve aggiungere che questi conventi si presentavano, almeno agli inizi del nuovo movimento come "organismi omogenei". La chiesa presenta dimensioni ridotte, normalmente ad aula unica, non più distinta dalla fabbrica conventuale, la sua lunghezza corrisponde ad un lato del chiostro. Gli esempi di Vasto e Palmoli sembrano corrispondere a questi canoni (per quanto la facciata principale del convento di Palmoli presenta un rivestimento con intonaci e cornici cementizie di epoca moderna), le chiese conventuali di Celenza sul Trigno e San Buono si distinguono la prima per una facciata moderna, sebbene d'epoca, e la seconda per una facciata molto particolare, frutto della committenza della potente famiglia Caracciolo, dove si è di fronte ad una grande "tarsia marmorea" all'aperto (purtroppo molto danneggiata durante i restauri del 1992), ove si vedono una mediazione riuscita "tra toni colti; accenti popolareschi e influssi del meridione" (cfr.L. Bartolini Salimbeni). L'unico caso in cui viene rispettato l'impianto ad aula unica si trova a Palmoli, negli altri casi di San Buono e Vasto sono presenti, verso il lato esterno, una serie di tre vani comunicanti tra loro, adibiti a cappelle che formano una navata minore.
Il caso anomalo rispetto alle disposizioni francescane, è rappresentato dal San Donato di Celenza sul Trigno, con chiesa trinavata. Tutte le chiese avevano, dietro l'altare maggiore, il retrostante coro, purtroppo l'unico sopravvissuto è quello, probabilmente seicentesco, di Celenza (negli altri conventi i cori sono stati trasferiti, nel caso di Vasto, o sono stati dispersi). Nei primi secoli la chiesa, come per la famiglia dell'ordine dei Conventuali, doveva avere la volta solo nell'area absidale, mentre la navata aveva il soffitto a capriate. A Palmoli è presente una volta a crociera con costoloni e chiave di volta in pietra che, nonostante i rivestimenti barocchi, è simile alle volte dell'edilizia mendicante e dell'architettura cistercense, ma forse appartenente a un edificio di culto precedente dei secc. XIII-XIV. Sulle pareti spesso si trovavano dipinti murali, affreschi votivi (come a Sant'Onofrio di Vasto sulle pareti superstiti dietro l'altare privilegiato) e altari in legno intagliato e scolpito (con eleganti finiture della superficie, a partire dal Cinquecento, come dorature, stuccature, lacche e policromie, come quelle del polittico di Celenza sul Trigno e del Sant'Onofrio di Vasto).
In epoca successiva tutte queste chiese furono rivestite di murature, pilastri, volte, intonaci e stucchi nel XVII secolo.                                       Fonte Comune di s.Buono